POPPY

Freddo. Sono in montagna. Sì, è palese, è tutto pieno di neve, un bianco paesaggio sfocato per colpa dei fiocchi che scendono fitti e forti. Mi sento le dita della mano destra congelate e guardandole capisco perché: non ho il guanto. Probabilmente l’ho perso.

Guardo in basso, nella neve fresca, ma capisco subito che è impossibile trovarlo; come minimo, è sepolto da parecchi strati, perché è tanto tempo che sento freddo alle dita, molto prima di accorgermi che manca il guanto.

Però fa troppo freddo, devo trovarlo. Annaspo un po’ in avanti col fiatone, cercando di togliere la neve qua e là, ormai sedimentata. Mi sento completamente impantanato, intrappolato, ormai le ginocchia sono bloccate e sento il panico iniziare a crescere. Non ho quasi più aria nei polmoni, ogni minimo movimento mi costa una fatica immensa. L’unica cosa che non mi torna è perché mi manca così tanto l’ossigeno; forse è la pressione, forse sono su una montagna molto alta, ma guardando il pendio molto dolce, lo escludo.

Qualcosa improvvisamente si muove. Anche il sangue nelle vene inizia a gelarsi; istintivamente porto la mano destra al petto, per proteggerla. Si muove di nuovo, sotto di me, sotto i miei piedi. Guardo la superficie bianca che si estende in davanti: è strana, molto uniforme. Prendo un lungo respiro, col cuore in gola, cercando un po’ di coraggio: allungo la mano intorpidita dal freddo e tocco quella singolare superficie con la pelle.

‘E molto strana, compatta, appiccicosa, non sembra neve.

Improvvisamente, tutto si muove, ed io vengo scaraventato lontano, fluttuando in una materia che non riesco a riconoscere; fluttuare in aria non si può, di certo non so volare. Sono troppo confuso, guardo da quella prospettiva il pendio sul quale ero prima.

Osservando meglio, strizzando gli occhi, improvvisamente il mio corpo si pietrifica ed il mio sbalordimento lascia spazio alla totale paura: quello che sembrava il pendio di una montagna innevata è in realtà la pancia di un gigantesco polpo, che sta nuotando e muovendo i suoi grossi tentacoli.

Era tutto sbagliato: sono sott’acqua, senza bombole, e solo adesso capisco di non respirare da ore, o almeno è quello che mi sembra. Mille e mille bollicine d’aria scendono verso il basso, bianche nell’abisso scuro, impossibili da mettere a fuoco. Strano che le bollicine vadano in quella direzione, ma poi mi accorgo di avere altro a cui pensare.

Il gigantesco polpo si avvicina, viene verso di me. Resto immobile, paralizzato, perfino quando vengo afferrato da un tentacolo, una stretta ben serrata, che mi fa un male assurdo. Mi fa roteare in acqua, velocemente: quello che vedo sono centinaia di bollicine d’aria che cambiano direzione continuamente. Il tentacolo aumenta la presa, non riesco più a respirare, mi sento mancare, ancora e ancora, mentre vedo una strana apertura nera e profonda avvicinarsi.

Apro gli occhi e mi ritrovo a fissare il mio comodino, il cuore ancora in gola e la mano destra congelata. Capisco adesso che essa si trova sul gelido pavimento, mentre tutto il resto del corpo è più o meno coperto dal piumone. Ritiro la mano e di scatto mi sdraio supino. Sono sudato, ho i capelli bagnati nella zona del collo. Guardo il soffitto illuminato dalla luce del sole, cercando di smettere di ansimare; mi si è chiusa la gola, come al solito. Con una mano inizio a massaggiarmela, cercando di respirare e calmarmi. Mi sento tremare tutto il braccio, anche la spalla, sono così teso che mi sembra di potermi spezzare come una corda di violino. Sembra che il polpo non mi abbia ancora lasciato andare.

Guardo sul comodino Poppy, il piccolo polpo di peluche: è nel verso in cui sorride. Credo che sia davvero buffo. Se fosse stato lui il polpo degli abissi, sarebbe stato molto ridicolo.

Improvvisamente mi metto a ridere.